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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), XI, 24
 
originale
 
24. Mane factum est, et perfectis sollemnibus processi duodecim sacratus stolis, sed effari deo eo nullo vinculo prohibeor, quippe quod tunc temporis videre praesentes plurimi. Namque in ipso aedis sacrae meditullio ante deae simulacrum constitutum tribunal ligneum iussus superstiti byssina quidem sed floride depicta veste conspicuus. Et umeris dependebat pone tergum talorum tenus pretiosa chlamida. Quaqua tamen viseres, colore vario circumnotatis insignibar animalibus; hinc dracones Indici, inde grypes Hyperborei, quos in speciem pinnatae alitis generat mundus alter. Hanc Olympiacam stolam sacrati nuncupant. At manu dextera gerebam flammis adultam facem et caput decore corona cinxerat palmae candidae foliis in modum radiorum prosistentibus. Sic ad instar Solis exornato me et in vicem simulacri constituto, repente velis reductis, in aspectum populus errabat. Exhinc festissimum celebravi natalem sacrorum, et suaves epulae et faceta convivia. Dies etiam tertius pari caerimoniarum ritu celebratus et ientaculum religiosum et teletae legitima consummatio. Paucis dehinc ibidem commoratus diebus inexplicabili voluptate simulacri divini perfruebar, inremunerabili quippe beneficio pigneratus. Sed tandem deae monitu, licet non plene, tamen pro meo modulo supplicue gratis persolutis, tardam satis domuitionem comparo, vix equidem abruptis ardentissimi desiderii retinaculis. Provolutus denique ante conspectum deae et facie mea diu detersis vestigiis eius, lacrimis obortis, singultu crebro sermonem interficiens et verba devorans aio:
 
traduzione
 
Venuto il mattino e conclusisi i riti solenni, io uscii in pubblico che indossavo dodici stole, paramenti che hanno un loro preciso significato religioso ma di cui nulla mi vieta di parlare anche perch? furono in molti, l? presenti, che potettero vederli. Infatti fui invitato a salire su un palco di legno situato al centro del tempio davanti alla statua della dea proprio bene in vista nella mia splendida veste di lino tutta ricamata. Gi? dalle spalle, poi, fino ai piedi mi scendeva un prezioso mantello tutto decorato con figure d'animali a vari colori, da qualunque lato lo si guardasse: draghi indiani, grifi iperborei, cio? bestie alate come uccelli che nascono solo nell'altro emisfero, un mantello che gli iniziati chiamano stola olimpica. Nella destra reggevo una fiaccola accesa e in testa avevo una bella corona di lucide foglie di palma disposte a raggiera. Cos? abbigliato da sembrare il dio sole e messo l? come una statua, quando s'aprirono le cortine una gran folla mi sfil? davanti per ammirarmi. Pi? tardi festeggiai quel giorno felice che mi vide iniziato ai sacri misteri con un pranzo squisito fra allegri commensali. Dopo tre giorni le cerimonie si ripeterono con lo stesso rituale e una colazione mistica perfezion? la mia consacrazione. Rimasi l? ancora qualche giorno per godere del piacere ineffabile che mi dava l'immagine della dea cui ero debitore ormai di un bene impagabile. Infine per? per suo stesso suggerimento, dopo averle umilmente esternato, come potevo, non certo come meritava, tutta la mia gratitudine, mi accinsi a far ritorno in patria, dopo tanto tempo, anche se mi era duro spezzare i legami di quel mio ardentissimo amore. Prosternato davanti alla dea, asciugando col mio volto i suoi piedi bagnati dalle mie lacrime dirotte, fra singhiozzi incessanti e parole soffocate cos? le parlai:
 

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